Nella serata del 19/03/2018, sui siti dei giornali on line, è iniziata a circolare la notizia del primo incidente provocato da una vettura a guida autonoma, inserito in un programma di test su strade aperte al pubblico, che ha provocato il decesso di una terza persona.
In vero si sono verificati altri eventi luttuosi che hanno coinvolto il conducente di autoveicoli dotati di un alto livello di automazione (scala SAE livello 3), ma in tali casi sembra che l’errore sia stato (guarda caso) umano, nel senso che il conducente si sarebbe affidato completamente ai sistemi ADAS senza mantenerne un rigoroso controllo, come invece indicato dal costruttore.
A prescindere dal caso di specie, di per se particolare se non altro perché è il primo, questo evento propone una serie di riflessioni che interessano il mondo degli analisti ricostruttori.
Dovessimo essere chiamati a ricostruire questo sinistro di quali strumenti potremmo disporre per poter verificare il corretto funzionamento dei sistemi di sicurezza?
Le telecamere e i sensori disposti a coprire tutti i lati di quel veicolo avevano identificato la presenza di tale soggetto e per quale motivo il moto dello stesso (soggetto) non è stato considerato un pericolo?
Com’è strutturato l’algoritmo che controlla il sistema di guida autonoma per gestire “situazioni” quale quelle che ha dato origine al sinistro stradale?
Di primo acchito tali problematiche potrebbero apparirci lontane, nel senso che, quanto meno in Italia, non sono ancora in circolazione questa tipologia di veicoli né vengono svolti tali tipi di test, benché FCA abbia in progetto di realizzare a Rovereto una pista dove testare la guida autonoma.
In realtà la questione inizia ad essere particolarmente rilevante dato che quasi tutti i veicoli di nuova immatricolazione presentano una serie di sistemi che dovrebbero evitare, o quanto meno limitare, gli effetti di un sinistro stradale, come ad esempio quelli che regolano la frenata d’emergenza o identificano la presenza dei pedoni e dei ciclisti.
Vi è quindi da chiedersi come possiamo introdurre nelle nostre ricostruzioni questi ulteriori paramenti.
Siamo quindi certi che, nel classico caso dell’investimento di un pedone, una vettura dotata di specifici ADAS non abbia rallentato la velocità prima dell’urto a prescindere dal comportamento tenuto dal suo conducente, ovvero, siamo certi che se dai calcoli svolti ottenessimo una velocità sotto il limite consentito in realtà tale mezzo avrebbe marciato molto più velocemente.
I riflessi giuridici appaiono ancora più complessi perché da un lato si potrebbe sostenere che non vi è prova di tale violazione (l’eccesso di velocità), dato che i sistemi diagnostici non ci permettono ancora di accertare l’effettiva entrata in funzione di un determinato sistema di sicurezza, mentre dall’altro si potrebbe sostenere che proprio perché vi è stato un mal funzionamento del medesimo sistema il guidatore non è riuscito ad evitare il sinistro.
E ancora, in questo secondo caso la responsabilità cadrebbe comunque in capo al conducente o invece dovrebbe essere chiamato in causa il costruttore dell’autovettura o, a cascata, del costruttore del sistema di sicurezza o del programmatore che ha creato l’algoritmo di funzionamento.
Come Analisti Ricostruttori, chiaramente, dobbiamo iniziare a porci queste domande per proseguire nel nostro processo di formazione interagendo tanto il mondo accademico, proponendo ad esempio spunti per eventuali sperimentazioni, quanto con gli Operatori del Diritto per comprendere quale sia l’orientamento della giurisprudenza in Italia.
Fondamentale, in ogni caso, vista l’ormai larghissima diffusione di tali sistemi di sicurezza, che il legislatore intervenga affinché siano resi disponibili i dati presenti all’interno delle centraline elettroniche delle autovetture, così da avere certezza non solo dell’attivazione di tali sistemi ma anche di come gli stessi hanno influenzato il comportamento dinamico del veicolo.
Articolo di Francesco Balzaretti Segretario di ASAIS – EVU Italia