Impara l’arte e mettila da parte (Perché continuare ad aggiornarsi)
di Francesco Balzaretti
Molte volte mi sono sentito dire “ma che senso ha continuare ad aggiornarsi; perché devo continuare a spendere tempo e risorse per la formazione”.
Di fatto, nel nostro campo specifico come in molti altri, ormai le leggi fondamentali risultano essere state studiate e sviscerate.
Di primo acchito, quindi, si potrebbe ritenere che continuare nel processo di formazione sia del tutto inutile, o quanto meno non così rilevante, nel momento in cui si è già in possesso di solide competenze di base.
Ammetto che per lungo tempo anche per me è stato così; citando un vecchio proverbio “impara l’arte e mettila da parte”
Avendo avuto la fortuna, o sfortuna a seconda del punto di vista, di avere un padre che già svolgeva questa professione (in realtà sono esponente della terza generazione), mi sono però reso conto che le modalità di approccio alla ricostruzione di un sinistro stradale sono variate talmente tanto nell’arco di pochi decenni, da rendere quasi del tutto superate le procedure che mi erano state insegnate.
Non parlo solo di nozioni di carattere tecnico o di nuove metodologie di rilevamento, ma anche di evoluzioni della giurisprudenza e di tutti quegli aspetti, quale ad esempio quello relazionale, che in prima istanza ritenevo poco o per nulla importanti.
Questo non significa che si debba buttare al macero tutto quanto sin ora appreso, anzi, quello che più invidio ai decani di questa professione, mi concedano il termine, è la capacità di analisi che prescinde dai diversi metodi di calcolo, ovvero la sensibilità di analizzare un problema e di identificare nell’immediatezza quali siano i risvolti più significativi.
Tale consapevolezza e tale sensibilità, gioco forza, può affermarsi non solo proseguendo lungo un percorso di formazione continua, partecipando cioè a corsi, convegni, giornate studio e quant’altro (istruzione formale e non formale), ma anche nel continuo confronto con i colleghi che, per quanto mi riguarda, avviene soprattutto fuori dagli ambiti in cui siamo normalmente chiamati a confrontarci per obbligo del mestiere (istruzione informale).
A prescindere dalla posizione che assumiamo all’interno di un collegio peritale, durante cioè lo svolgimento di una consulenza, siamo naturalmente portati a “difendere” le nostre tesi piuttosto che ad ascoltare e a confrontarci con la dovuta serenità.
Con i colleghi di zona è quindi divenuta una prassi consolidata quella di ritrovarci a discutere non solo dei casi particolari che si è avuto modo di affrontare, del contenuto dei convegni che abbiamo seguito, delle procedure che abbiamo adottato e dei loro limiti, delle nuove tecnologie che si è avuto modo di incontrare o/e utilizzare, ma anche di come affrontare un dibattimento o dell’ultimo libro letto.
Più in generale, ritengo che il continuo confronto permetta una crescita culturale a tutto tondo, non solo sotto il profilo tecnico quindi, tale da permetterci di assumere una forma mentis differente, particolarmente sensibile alla ricerca e all’ascolto senza preconcetti o preclusioni di sorta, attitudini queste che dovrebbero caratterizzare l’intera vita di un individuo prima ancora che di un professionista.
Proprio nel corso di una di queste chiacchierate mi hanno fatto notare un mio fondamentale errore di prospettiva; fare formazione non è “spendere” del tempo o del denaro, ma è la natura stessa della mia (nostra) professione.
E ancora, che il proverbio “impara l’arte e mettila da parte” non deve essere inteso come la fine di un processo d’apprendimento quanto come l’inizio.
Ogni nozione, ogni informazione, ogni conoscenza più essere utile; ogni confronto, ogni discussione, ogni dibattito più offrire un nuovo spunto di riflessione, che magari al momento potrebbe sembrare inutile ma che in futuro potrebbe invece rivelarsi fondamentale.
A mio parere la crescita professionale, che non può e non deve limitarsi alla sola approfondita specializzazione, è inoltre l’unico elemento che permette ad un professionista di distinguersi sul mercato, non solo per poterne acquisire nuove fette, ma soprattutto al fine di poter fornire alle proprie mandanti un prodotto di qualità sempre più elevata.
Infatti, in un mercato globale dove ormai l’originalità e l’innovazione dei prodotti ha breve durata, ancor più breve nel settore dei servizi come appunto il nostro, la qualità professionale rimane l’unica vera discriminante; in altre parole, l’unico vero valore aggiunto.
Ecco che la formazione professionale assume i connotati tipici dell’investimento, ossia dell’attività rivolta all’incremento di beni capitali da impiegare nel processo produttivo, che nel nostro caso sono rappresentati proprio dal capitale umano.
La ricerca di questo confronto e di conseguenza gli stimoli che ho ricevuto, hanno portato infine a rivedere completamente le motivazioni che mi avevano indotto ad iscrivermi ad una associazione.
Se prima pensavo che potesse essere un modo, in vero anche una scorciatoia, per poter acquisire una maggiore autorevolezza o un maggior prestigio, ora mi rendo conto che la forza di questa realtà associativa è proprio nella possibilità della crescita professionale che nasce dalle esperienze e dalle competenze che posso condividere con gli altri.
In questo senso, quindi, diviene importante che ognuno di noi si trasformi in soggetto attivo di tale processo di formazione continua in modo da fornire sempre più spunti di analisi, di riflessione e di accrescimento personale.