Le parole, la capacita’ espressiva, la dialettica sono importanti nel mondo forense quanto in quello peritale. Ma questi elementi sono nulli se non si ha l’attitudine e l’umilta’ di metterli al reciproco servizio con semplicita’.
Credo fortemente che tra il mondo forense e il mondo tecnico vi debba essere uno stretto connubio, una reciproca contaminazione del linguaggio e una stringente collaborazione per plasmare una realta’ fattuale il piu’ possibile completa di elementi giuridici e scientifici. Il giurista e il consulente devono essere degli alleati in grado di instaurare una sistematica ed assidua collaborazione (connubio) di rispetto e di fiducia reciproca, capace di arricchire i rispettivi atti di connotati scientifici quanto giuridici, affinche’ l’elaborato peritare e gli scritti difensivi non siano delle “opere” a se’ stanti, bensi’ la commistione e la fusione del sapere di entrambi i professionisti (contaminazione del linguaggio). Cosi’ facendo si avra’ un consulente con nozioni giuridiche ed un giurista con nozioni tecniche (collaborazione). Ne consegue, pertanto, che all’avvocato e al consulente si deve chiedere, anzi, pretendere di dipingere sulla medesima tela, ognuno apportando la propria abilita’ stilistica, contaminandosi reciprocamente delle sfumature di colore che connotano la propria categoria. Cio’ e’ possibile solo ed unicamente se si ha l’umilta’ di non censurarsi dietro a grandi termini linguistici o formule matematiche/empiriche che non sono altro che la proclamazione di se’ stessi.
Ancora oggi, con amarezza bisogna constatare che la collaborazione tra queste due categorie, cosi’ differenti ma strettamente interdipendenti, e’ ancora lontana.
Sovente capita che l’avvocato e il consulente “parlino due lingue” differenti, in quanto entrambi proiettati unicamente verso il proprio orizzonte, incapaci di volgere lo sguardo sulla visuale dell’altro. Troppo spesso c’e’ l’incapacita’ da parte del giurista – per mancanza di volonta’ e/o conoscenza specifica data dalla differente realta’ di provenienza – di capire quanto il consulente – tecnicamente e scientificamente – con la propria relazione gli sta esponendo. Allo stesso modo, talvolta, il consulente si trova nell’incapacita’ di comprendere le necessita’, le strategie e le opportunita’ processuali dell’avvocato.
Per formazione e deformazione professionale e’ inevitabile che il giurista e il consulente parlino due lingue tecniche differenti, ma cio’ non deve essere d’ostacolo per un proficuo connubio e collaborazione, bensi’ deve essere l’impulso per comprendere che se l’altra parte non è messa nella condizione di cogliere e comprendere il ragionamento sistemico che c’e’ dietro al proprio pensiero, il professionista non sara’ mai in grado di sfruttarlo nella giusta direzione, rendendo cosi’ vana ogni tipo di conoscenza sia essa tecnica che giuridica.
E’ palese che tanta strada ancora deve essere percorsa, ma se si ha la capacita’ ma soprattutto l’umilta’ di comprendere ed accettare che si puo’ apprendere e attingere da entrambe le categorie, il connubio, la contaminazione e la collaborazione saranno sempre piu’ vicine ad essere una realta’ quotidiana.
avv. Cristina Maggiore
Osservatore ASAIS-EVU Italia
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