Omicidio stradale Cosa cambia sotto il profilo giuridico

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Omicidio stradale

Cosa cambia sotto il profilo giuridico

(Relazione Avv. Giamnmarco Cesari)

La Aifvs dal 2008 dopo il processo per l’omicidio dei due fidanzati di  Via Nomentana a Roma ha evidenziato come la pena attuale per l’omicidio derivante dalla circolazione stradale non sia assolutamente proporzionata al bene giuridico protetto della vita e che la strada legislativa percorsa dal Parlamento e nel mese di  marzo 2010 ha proposto il ddl Barbaro C. 3274 con il patrocinio delle più alte cariche dello Stato, messo in un cassetto della Commissione Giustizia senza neanche iniziare la discussione, nonostante la gravità del problema.

 

  La AIFVS tramite l’Avvocato della Associazione Gianmarco Cesari ha chiesto di approvare subito una legge contro la criminalità stradale riferita non solo alla guida in stato di ebbrezza e sotto effetto di sostanze psicotrope e stupefacenti ma estesa a tutte le condotte stradali pericolose, azzardate e temerarie.

La AIFVS ha indicato i principi da seguire per la sussistenza dell’ipotesi di reato per omicidio stradale:

–          il reato di omicidio stradale sussiste se la causa del decesso sia determinata dalla condotta di guida azzardata accertata tecnicamente (causa determinante).

–          Nei casi di condotta di guida con efficienza causale marginale (causa concorrente) non può sussistere il reato di omicidio stradale ma solo l’omicidio semplice.

–          Per l’imputazione del reato di omicidio stradale, deve essere provato tecnicamente che se fosse stata tenuta una condotta di guida rispettosa delle norme del codice della strada, il decesso non si sarebbe verificato (evitabilità dell’incidente e delle conseguenze).

La Aifvs ha specificato le singole violazioni del Codice della Strada che possono individuare univocamente le condizioni per l’imputazione del reato di omicidio stradale, previa verifica, condotta attraverso ricostruzione ed analisi tecnica dell’incidente stradale per cui la pena deve essere inasprita sensibilmente da 5 a 15 anni di reclusione e specificatamente:

guida in stato di alterazione psico-fisica (Art. 187 del CdS)

Chiunque ponendosi consapevolmente alla guida sotto l’influenza di sostanze stupefacenti o psicotrope cagiona la morte di una o più persone

guida in stato di ebbrezza ( Art. 186 del CdS)

Chiunque ponendosi consapevolmente alla guida in stato di ebbrezza alcolica, con tasso alcolico maggiore di 1,5 cagiona la morte di una o più persone.

mancato arresto ad un posto di blocco e/o inseguimento (Art. 43 CdS)

Chiunque provochi la morte di una o più persone non arrestandosi all’ordine intimato con idonei segnali dagli organi di PG ad un posto di blocco e scappando dagli stessi.

gare in velocità ( Art. 9 bis del CdS)

Chiunque provochi la morte di una o più persone a causa dello svolgimento di una competizione sportiva in velocità non autorizzata.

elevata velocità di marcia (Art. 141)

Chiunque provochi la morte di una o più persone a causa di un elevata velocità di marcia in rapporto alle condizioni e stato dei luoghi. La velocità deve superare il novantesimo  percentile (90%) della velocità rilevata nel luogo del sinistro. La velocità deve essere rilevata nelle medesime condizioni di traffico ed atmosferiche presenti, tramite apparecchiature debitamente omologate per il calcolo della velocità media di percorrenza.

passaggio col rosso (Art. 146 CdS)

Chiunque generi la morte di una o più persone iniziando l’attraversamento di un’intersezione regolata da impianto semaforico con luce scattata al rosso da almeno 2 secondi.

inversione di marcia (Art. 154 CdS)

Chiunque nell’invertire il senso di marcia in prossimità o in corrispondenza delle intersezioni, delle curve e dei dossi provochi la morte di una o più persone.

uso di dispositivi elettronici (Art. 173CdS)

Chiunque provochi la morte di una o più persone a causa di una guida distratta legata all’utilizzo improprio di apparecchi elettronici.

Sorpasso (Art. 148CdS)

Chiunque nel sorpassare un altro mezzo in corrispondenza di un dosso, di una curva, di strisce pedonali provochi la morte di una o più persone

Marcia contromano (Art. 143)

Chiunque provochi la morte di una o più persone  marciando completamente all’interno di una corsia o carreggiata destinata all’opposto senso di marcia. L’imbocco contro mano deve essere stato effettuato deliberatamente e no ad es. dovuto a cause di limitata visuale o altro.

 Le violazioni piuù gravi e tali da configurare azzardo e temerarietà sono state individuate con la collaborazione dell’Ing. Dario Vangi e quindi del suo team di ingegneri del dipartimento di meccanica della Università di Firenze.e presentate alla Conferenza Nazionale per il reato di Omicidio Stradale promossa dalla Aifvs che si è svolta presso la Camera dei Deputati  l’8 giugno 2012.

La grave situazione dell’incidentalità stradale sottolinea l’urgenza della riforma per porre un argine alla criminalità stradale creando un fermo e forte  deterrente.

La riforma così come licenziata dal Senato ed ora trasmessa alla Camera dei Deputati pe ril nuovo esame a seguito delle modifiche apportate è la seguente:

Chiunque cagioni per colpa la morte di una persona con violazione delle norme in materia di circolazione stradale è punito con la reclusione da due a sette anni. Si tratta della sanzione base prevista per l’omicidio stradale “semplice” commesso cioè senza gravi violazioni.

La pena invece è molto più elevata qualora la condotta del conducente rientra nelle ipotesi gravi previste dal legislatore. In particolare si applica la pena della reclusione da cinque a dieci anni in caso di omicidio provocato:

– guidando in stato di ebbrezza con tasso alcolemico superiore a 0,8 g/l;

– guidando sotto l’effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope;

– procedendo in un centro urbano ad una velocità pari o superiore al doppio di quella consentita e comunque non inferiore a 70 km/h, o su strade extraurbane ad una velocità superiore di almeno 50 km/h rispetto a quella massima consentita;

– attraversando un’intersezione con il semaforo disposto al rosso o circolando contromano;

– a seguito di una manovra di inversione del senso di marcia in prossimità o in corrispondenza di intersezioni, curve o dossi o a seguito di sorpasso di un altro mezzo in corrispondenza di un attraversamento pedonale o di linea continua.

Pena ancora più grave (reclusione da otto a dodici anni) è prevista in caso di:

– guida in stato ebbrezza grave (oltre 1,5 g/l)

– autisti professionisti in stato di ebbrezza media oltre 0,8 g/l o in stato di alterazione da sostanze stupefacenti. Si tratta dei conducenti abilitati al trasporto persone o cose e guidatori di autoveicoli di massa complessiva superiore a 3,5 tonnellate o che trainano rimorchi con cui si superano le 3,5 t, autobus, veicoli che possono portare più di otto passeggeri, autoarticolati e autosnodati; per gli autisti professionisti è infatti imposto l’alcol zero.

Incidenti con soli feriti: lesioni personali gravi e gravissime

Chiunque cagioni per colpa ad altri una lesione personale con violazione delle norme in materia di circolazione stradale è punito con la reclusione da tre mesi a un anno per le lesioni gravi e da uno a tre anni per le lesioni gravissime (sanzione base)

La pena invece è molto più elevata (reclusione da un anno e sei mesi a tre anni per le lesioni gravi e da due a quattro anni per le lesioni gravissime) qualora le lesioni siano state provocate (come nel caso dell’omicidio stradale):

– guidando in stato di ebbrezza con tasso alcolemico superiore a 0,8 g/l;

– guidando sotto l’effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope;

– procedendo in un centro urbano ad una velocità pari o superiore al doppio di quella consentita e comunque non inferiore a 70 km/h, o su strade extraurbane ad una velocità superiore di almeno 50 km/h rispetto a quella massima consentita;

– attraversando un’intersezione con il semaforo disposto al rosso o circolando contromano;

– a seguito di una manovra di inversione del senso di marcia in prossimità o in corrispondenza di intersezioni, curve o dossi o a seguito di sorpasso di un altro mezzo in corrispondenza di un attraversamento pedonale o di linea continua.

 

Pena ancora più grave (reclusione da tre a cinque anni per le lesioni gravi e da quattro a sette anni per le lesioni gravissime) è prevista in caso di:

– guida in stato ebbrezza grave (oltre 1,5 g/l)

– autisti professionisti in stato di ebbrezza media oltre 0,8 g/l o in stato di alterazione da sostanze stupefacenti.

Aumenti di pena: guida senza patente, veicolo non assicurato, fuga del responsabile

La pena per omicidio stradale o lesioni personali è in ogni caso aumentata se il fatto è commesso da persona non munita di patente di guida o con patente sospesa o revocata, o nel caso in cui il veicolo a motore sia di proprietà dell’autore del fatto e tale veicolo sia sprovvisto di assicurazione obbligatoria.

Se il conducente si dà alla fuga, la pena è aumentata da un terzo a due terzi e comunque non può essere inferiore a cinque anni in caso di omicidio e a tre anni in caso di lesioni.

Se l’incidente non è dovuto al solo conducente

Qualora l’evento (morte o lesioni personali) non sia esclusiva conseguenza dell’azione o dell’omissione del colpevole, la pena è diminuita fino alla metà.

In caso di morte o lesione di più persone

Qualora il conducente cagioni la morte di più persone, ovvero la morte di una o più persone e lesioni a una o più persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse aumentata fino al triplo. La pena massima applicabile è comunque quella della reclusione di anni diciotto.

Revoca della patente

Omicidio e lesioni personali stradali comportano sempre la sanzione accessoria della revoca della patente. In caso di omicidio stradale, è possibile conseguire la nuova patente solo dopo quindici anni; cinque anni in caso di lesioni stradali.

Nei casi più gravi, come la fuga del responsabile, per avere la patente si arriva ad attendere fino a trent’anni.

Se il conducente è straniero

Per i titolari di patente di guida rilasciata da uno Stato estero, il prefetto del luogo della commessa violazione adotta un provvedimento di inibizione alla guida sul territorio nazionale valido per il medesimo periodo sopra indicato per la revoca della patente italiana.

L’inibizione alla guida sul territorio nazionale è annotata nell’anagrafe nazionale degli abilitati alla guida

Arresto obbligatorio

È previsto l’arresto obbligatorio quando il conducente:

– risulta in stato di ebbrezza grave (tasso alcolemico superiore a 1,5 g/l) o sotto l’effetto di droghe;

– risulta in stato di ebbrezza media (tasso tra 0,81 e 1,5) se è un autista professionale.

In caso di rifiuto dell’alcoltest

Se il conducente responsabile rifiuta di sottoporsi agli accertamenti dello stato di ebbrezza alcolica o di alterazione correlata all’uso di sostanze stupefacenti o psicotrope e vi è fondato motivo di ritenere che dal ritardo possa derivare grave o irreparabile pregiudizio alle indagini, può essere disposto il prelievo coattivo di campioni biologici. Il decreto che dispone gli esami può essere adottato dal magistrato anche oralmente ma deve essere poi confermato per iscritto.

Le forze dell’ordine, una volta avvertito l’avvocato del conducente, possono accompagnare l’interessato al presidio ospedaliero più vicino per la sottoposizione ai test. Entro le 48 ore successive, il pubblico ministero dovrà richiedere al gip la convalida del decreto di sottoposizione al test e di tutti gli ulteriori provvedimenti eventualmente adottati.

Vietata l’equivalenza tra circostanze aggravanti e circostanze attenuanti

Quando ricorrono le circostanze aggravanti previste dalle nuove norme (per esempio guida in stato di ebbrezza) le concorrenti circostanze attenuanti (ad esclusione delle attenuanti generiche e di quella concessa al minore di anni 18), non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti.

Dunque, le diminuzioni si operano sulla quantità di pena già determinata in base alle circostanze aggravanti.

E’ di tutta evidenza pertanto l’ausilio di esperti ricostruttori delle dinamiche degli incidenti stradali per la contestazione del reato senza rischi da malagiustizia sopratutto per l’ausilio tecnico che necessita alla Procura per la contestazione circostanziata del reato e per la difesa delle parti per resistere a ricostruzioni errate ed infondate;

E’ necessaria pertanto una nuova evoluta cultura tecnico ricostruttiva e la formazione di esperti ricostruttori certificati alla luce delle nuove esigenze di giustizia che impongono ricostruzioni esatte e non arbitrarie.

Ogni giorno muoiono 11 persone, circa 800 rimangono feriti e poi invalidi permanenti, prima una legge entrerà in vigore più vite verranno risparmiate.

 

Avv. Gianmarco Cesari

Il consulente tecnico e il perito nel processo penale

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Il conulente tecnico e il perito nel processo penale

(Relazione Dr. Ing. Luigi Cipriani)

 

Gentili convegnisti, carissime colleghe e cari colleghi,

intervengo con grande piacere a questo incontro, che sarà seguito da un importante momento congressuale

Passando ora al tema, cioè la figura del consulente tecnico di parte e del perito nel processo penale, voglio affrontare l’argomento attraverso alcune domande che ci dobbiamo necessariamente porre e continuare a rinnovare: tutti comprendono l’importanza del nostro ruolo? La comprendiamo noi? La comprendono gli operatori dell’ambito giudiziario?

 

Questa è forse per noi la rivoluzione alla quale dobbiamo tendere, cioè far si che l’importanza del nostro ruolo venga effettivamente compresa dall’opinione pubblica, Legali, Magistrati, associazioni, cercando quindi di far emergere la centralità del ruolo che abbiamo.

Già il tema di oggi, la nuova legge sull’omicidio stradale, è la cartina al tornasole, infatti nessuno ci ha fattivamente coinvolti sul tema dell’omicidio stradale, questo starà pure a significare qualcosa.

Dobbiamo necessariamente uscire dai nostri studi, dalle università, dalle sole sperimentazioni di carattere tecnico ed intraprendere un percorso di crescita che porti ad un riconoscimento sostanziale e non solo istituzionale del ruolo, quindi non rimanendo in attesa passiva della definizione di una nuova figura/professione coperta da riserva di legge, ma far comprendere quanto l’intervento tecnico abbia nel processo un riflesso importante se non necessario.

Può l’indagine tecnica operare parallelamente all’ambito processuale nel quale si trova senza esservi in qualche modo parte?

Questo è un aspetto fondamentale perché è solo attraverso una profonda presa di coscienza del ruolo del perito/consulente tecnico che possiamo aspirare ad un cambiamento.

Con questo voglio dire che dovremo cercare di portare il nostro ruolo verso una “necessità sostanziale”, lasciando alle spalle una visione dell’intervento del ricostruttore come una “necessità processuale”, come purtroppo talune volte succede magari spinti da un “se proprio c’è bisogno di una “perizia” la facciamo”.

Perché questa premessa? Perché da qui, dalla “sostanzialità” dobbiamo partire per far emergere l’importanza del perito e del consulente tecnico nella decisione finale del Magistrato, ma per arrivare a questo dobbiamo sempre più diventare “attori coscienti” del processo e della fase processuale vera e propria e non dobbiamo intervenire come sterili fornitori di dati tecnici, peraltro talune volte male interpretati dagli operatori del diritto; il fraintendimento sarebbe per noi un risultato ancora peggiore se questo dovesse accadere per una nostra scarsa propensione ad una adeguata esposizione non solo in termini grammaticali, ma anche di semplificazione dei concetti tanto da costringere ad acquisire le nostre valutazioni quasi fossero apodittiche, essendo quasi impenetrabili.

Da qui ne discende la necessità di orientare la formazione e l’aggiornamento costante anche in questa direzione, ovviamente affiancata alla ricerca sperimentale finalizzata ad acquisire sempre più dati utili alla ricostruzione, e questo lo possiamo fare attraverso:

–        l’approfondimento dell’aspetto giuridico e processuale, in termini vicini al nostro ruolo;

–        l’approfondimento della fase argomentativa in una visione dialettica del processo e del dibattimento, cioè del luogo deputato per eccellenza alla formazione della prova all’interno di un processo penale che è caratterizzato dal confronto orale;

–        l’approfondimento della fase espositiva e di comunicazione;

questo con l’obiettivo di avvicinarsi il più possibile alla realizzazione di una figura tecnica che coscientemente opera nel processo.

Non possiamo pensare che la nostra formazione, il nostro aggiornamento e il nostro lavoro sia orientato “solamente”, e sottolineo solamente, all’acquisizione di nuovi dati sperimentali, perché questi non sono necessariamente sufficienti ad ottenere un buon risultato processuale e non possiamo dimenticare che in tale ambito operiamo; dobbiamo quindi sempre più assumere una visione completa del nostro operare anche all’interno della fase processuale/dibattimentale che grande rilievo può offrire al nostro lavoro.

Sarebbe un peccato, non credete, sviluppare una ricostruzione completa di un sinistro stradale e poi non rendere in modo efficace l’esposizione del lavoro, magari per una scarsa capacità di gestire elementi di contorno nella fase processuale, elementi che forse non cogliamo per mancanza di conoscenza e che minano la credibilità dell’impianto ricostruttivo che abbiamo sviluppato.

Tendiamo a pensare che l’aspetto che stiamo ora affrontando sia “semplice” o già conosciuto e in ogni caso che l’esposizione, la comprensione del processo e la comprensione della dimensione dibattimentale non sia di nostra competenza e difficilmente viene vista “da” e “per” noi come un aspetto professionalizzante.

Rispetto all’importanza del contesto una volta ho sentito una persona dire di un’altra persona “…aveva sempre delle buone idee, ma fuori tempo, o addirittura in anticipo sui tempi, quindi non riusciva a farsi capire, ascoltare”, succedeva quindi che questa persona, seppure preparata e brava, era fuori contesto, forse comprendeva il quadro in modo migliore degli altri, ma non riusciva a farsi capire o ascoltare con l’evidente risultato negativo.

Ancora di più non basta conoscere com’è andato un fatto per poter decidere, serve anche un modello di riferimento al quale ricondurre il giudizio, altrimenti conosceremo solo il fatto senza poterlo decidere; è chiaro a tutti che il fine di un processo sia proprio di prendere una decisione.

Il modello di riferimento, la codificazione astratta e il comportamento ortodosso dettato dalle norme assume quindi un ruolo di guida anche nelle risposte che forniamo.

Ne consegue per i consulenti la necessità di comprendere il più possibile quale sia il modello di riferimento al quale i giuristi si ”ispirano”, non tanto per sostituirsi nella valutazione delle responsabilità, ma per comprendere quali possono essere gli elementi necessari a formare la valutazione e quindi mettere a disposizione del Giudicante gli elementi più idonei al decidere.

Il mio è un intervento ad ampio respiro con il quale vorrei trasmettere a tutti l’importanza di un aggiornamento a trecentosessanta gradi, così da formare figure complete e non rifugiarsi dietro a “sono un tecnico, mi occupo solo di cose tecniche” perché il nostro lavoro si confronta per sua natura con il mondo del diritto e della necessità di risolvere controversie, contenziosi, con l’intervento nell’ambito giurisdizionale.

Se la realtà dei fatti fosse semplicemente e unicamente valutabile credo non esisterebbe più il nostro lavoro.

Penso sia difficile compiere un’indagine senza sapere cosa cercare e questo è vero sia sotto l’aspetto puramente tecnico del nostro operare, ma anche sotto l’aspetto normativo, aspetto che può essere facilmente compreso se pensiamo all’inquadramento delle norme dettate dal Codice della Strada.

Quanto tempo abbiamo dedicato ad approfondire la conoscenza del Codice della Strada anche interagendo con operatori del diritto? Quanto tempo abbiamo dedicato agli operatori del diritto a far comprendere il punto di vista dei ricostruttori sul Codice della Strada?

Perché come si può vedere il lavoro deve essere bidirezionale, doppiamente correlato a stretto filo, dobbiamo anche noi portare il nostro punto di vista e questo lo possiamo fare se il nostro linguaggio progredisce e declina anche verso aspetti propri del linguaggio giuridico e degli operatori del diritto perché, anche se talune volte facciamo fatica a riconoscerlo, operiamo nel “mondo del diritto”.

Quanto visto si riversa pienamente in quella che possiamo definire la “presenza processuale del consulente”, dando una accezione piena al sostantivo “presenza” che vede il perito/consulente operare in modo cosciente, intendendo per cosciente un comportamento consapevole.

Spesso veniamo “incalzati” con domande che a noi sembrano senza senso, ma che trovano piena logica in una data strategia difensiva; in questo caso è importante comprendere cosa succede.

Si può ben capire quanto diventi importante la capacità di trasmettere un messaggio chiaro, contestualizzato nel modo corretto, anche cogliendo le diverse strategia difensive e che avranno necessariamente un duplice sviluppo: uno tecnico e uno giuridico.

Un fattore molte volte trascurato è l’importanza del consulente di parte che se ben opera aiuta sicuramente nella ricerca della “verità” (verità processuale) orientata in penale da una interpretazione dei fatti “…oltre ogni ragionevole dubbio…”, mentre in civile dalla visione solutiva del tipo “….più probabile che non…”.

Già solo questo ci dovrebbe fare comprendere quanto sia importante una conoscenza giuridico-processuale.

Dobbiamo quindi ben operare e con questo non si deve intendere un approccio corretto sotto l’aspetto deontologico professionale, che è un requisito “sine qua non” e in tale direzione abbiamo sempre lavorato, ma che bene si operi sotto l’aspetto tecnico-logico così da poter far comprendere la bontà di una valutazione e, in un confronto con altri consulenti, possa far emergere in modo chiaro dove e perché una valutazione tecnica diverga da un’altra, cosicché il Magistrato possa intimamente valutare anche i risultati ai quali perviene il perito.

Abbiamo parlato dell’attività del consulente in quanto tale all’interno del processo penale e dal consulente arriviamo giocoforza a parlare del perito, del consulente del Giudice penale.

Le necessità operative non sono disallineate da quelle del consulente di parte, ma la ricerca della “verità” piega in modo diverso; se da una parte abbiamo la necessità di esaltare tutti quegli aspetti più vicini ad una tesi difensiva, che magari è quella che meglio rappresenta i fatti, quando operiamo per il Giudice dobbiamo avere una equidistanza nella fase di analisi e valutazione, che poi non si deve necessariamente tradurre in una equidistanza di giudizio tra più tesi, più o meno contrapposte, cioè mediando le prospettazioni formulate dalle parti.

In effetti una visione del tipo “in media stat virtus” non può trovare ingresso senza una adeguata ponderazione, infatti la “verità”, la “verità processuale”, può pendere da una parte, come diversamente potremmo trovarci nelle condizioni di non avere elementi per formulare valutazioni attendibili, basate su dati attendibili.

Quindi ci ritroviamo nella necessità di comprendere l’aspetto giuridico processuale.

Un presunzione di innocenza, piuttosto che una presunzione di responsabilità potrebbe dettare la necessità di orientare in modo diverso gli approfondimenti nella risposta al quesito.

Il perito non deve essere ostaggio degli avvocati, dei consulenti, del magistrato, ma nemmeno del proprio pensiero nel senso che deve avere la capacità di riorientarsi nella fase di valutazione.

L’indagine e l’esposizione deve svilupparsi in un contesto che può essere definito grado di attendibilità scientifico-processuale, cioè in un dominio che tenga conto del grado di precisione e conoscenza della scienza, o livello di errore, e della necessità di “certezza” dell’ambito giuridico-processuale.

A questo proposito vale la pena ricordare la differenza che intercorre tra verità e certezza: la verità è una condizione oggettiva ed è determinata dalla realtà dei fatti, mentre la certezza è una condizione soggettiva ed è una corrispondenza ad un grado di convincimento, seppure molto elevato. Noi molte volte lavoriamo nell’ambito della certezza che non necessariamente può costituire la verità e questo lo dobbiamo ben comprendere.

Non dobbiamo pensare che l’unica risposta alla quale un “buon” perito debba pervenire sia necessariamente di tipo deterministico, oppure una risposta che preveda un’unica soluzione, talune volte non possiamo dare una risposta ragionevole e questo lo dobbiamo dire, oppure abbiamo più soluzioni valide e anche questo lo dobbiamo evidenziare.

Il diritto ha bisogno di certezze per rispondere; anche l’impossibilità di fornire una risposta tecnica può essere una certezza se adeguatamente motivata.

Volendo operare una distinzione delle informazioni che forniamo attraverso il nostro intervento potremmo in prima istanza dividerle in:

–        informazioni necessarie, o di primo livello, strettamente legate a quello che ci viene chiesto;

–        informazioni opportune o di contorno, o di secondo livello, cioè tutte quelle informazioni che non sono strettamente necessarie ma che alla fine governano la comprensione delle informazioni necessarie, oppure ne consentono una valutazione anche sotto una diversa luce.

E ritornando all’argomento, quanto siamo in grado di gestire tutte le informazioni opportune o di secondo livello? Quanto ci possono sfuggire?

Dobbiamo ricordarci, come abbiamo già visto, che nel processo penale la prova si forma nel dibattimento e la perizia, che pure si sviluppa con operazioni anticipate rispetto all’udienza dibattimentale anche con il deposito di un elaborato, si determina nel contraddittorio anche con l’esame del perito o del consulente tecnico (qui dipende dal procedimento) da parte del P.M., dei legali e del Giudice e, finché non si arriva a dibattimento e quest’ultimo non si consuma, non sappiamo cosa ci potrà essere chiesto e quale piega prenderà l’esame.

Dobbiamo vedere il nostro lavoro in un’ottica tecnico-processuale, non di tecnica processuale, attenti quindi a trasferire in un ambiente “non tecnico”, con impianti logici talune volte lontani da quello tecnico le nozioni specialistiche.

Se noi fossimo coinvolti in un processo come imputati ci piacerebbe che i fatti dei quali si discute venissero esaminati da un tecnico che non conosce la situazione processuale, che non conosce il rilievo nel processo della propria consulenza, di come potrebbe essere strumentalizzata la consulenza, quindi il parere offerto?

Credo proprio che la risposta sia per tutti, o quasi, NO!

Quello di cui oggi abbiamo parlato, o meglio accennato, può apparire un complesso di sovrastrutture non utili, ma sono al contrario indispensabili per fornire una prestazione di livello.

Come dicevo prima non basta conoscere i fatti per giudicare, serve il modello di riferimento e le informazioni che dobbiamo fornire sono rispetto al fatto stesso, ma anche al modello di riferimento al quale il Giudice dovrà fare riferimento.

Quando noi assumiamo la funzione di perito una volta terminato la fase dibattimentale che ci coinvolge usciamo di fatto dal processo quindi, da quel momento in poi, il nostro parere deve AUTOREGGERSI e questo avviene tanto più conosciamo le pieghe processuali.

Un esempio: ci siamo mai chiesti cosa sia sotto l’aspetto processuale il rapporto causale, se abbia una solo lettura; i giuristi hanno elaborato visioni più o meno attenuate del rapporto causale ad esempio giungendo a definire la teoria della causalità naturale o teoria della condicio sine qua non, piuttosto che la teoria della causalità adeguata improntata sulla valutazione dell’idoneità di una azione a determinarne la conseguenza.

Dobbiamo quindi orientare la formazione verso la “scienza forense” che ci avvicini ad una figura sempre più moderna del tecnico ricostruttore che possa anche meglio confrontarsi con giuristi ed aspetti processuali.

Non dimentichiamo che l’aspetto tecnico, se ben governato con una visione interdisciplinare, può orientare in modo determinante un processo.

Senza trascurare l’attività di ricerca e di sperimentazione sul campo dobbiamo contemporaneamente ampliare la nostra formazione contribuendo a formare, o forse meglio ad implementare, la figura del tecnico che interviene nei processi.

Siamo tutti coscienti che non è sufficiente, anche se indispensabile, avere conoscenze tecniche per sostenere in modo adeguato un dibattimento, soprattutto se vogliamo che ciò che intendiamo trasmettere venga colto e non storpiato nell’arena processuale dove le regole sono codificate e molto stringenti tanto da forzare, talune volte, anche l’interpretazione degli elementi.

Questo è sicuramente un compito non semplice, ma dobbiamo necessariamente contribuire in quest’ottica portando a frutto tutte le nostre esperienze.

Dobbiamo pensare che il Magistrato, o il Collegio, dovrà sempre passare attraverso un momento nel quale compie un processo di autovalutazione decidendo di aver compreso e capito tutti gli elementi del processo, anche le perizie e le consulenza; appare quindi del tutto evidente quanto risulti determinante comprendere per il perito le necessità del Giudicante trasmettendo in modo intellegibile le valutazioni tecniche che è chiamato ad operare.

L’introduzione del reato di omicidio stradale non modifica di fatto il nostro ruolo, ma potrebbe chiamarci con più frequenza ad operare in situazioni nelle quali la pena sarà molto maggiore rispetto a quella oggi prevedibile, con la conseguente necessità da parte nostra di assumere un ruolo sempre più responsabile avendo conoscenza dell’ambito nel quale operiamo e di come vengono utilizzate le nostre valutazioni.

Dobbiamo quindi credere fermamente in quello che facciamo, noi per primi, altrimenti sarà difficile che qualcun altro riconosca a noi il ruolo che riteniamo di avere

                                  

dott. Ing. Luigi Cipriani

analista ricostruttore

 

Omicidio Stradale – L’importanza dei rilievi per la corretta ricostruzione della dinamica di un sinistro

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Omicidio Stradale – L’importanza dei rilievi per la corretta ricostruzione della dinamica di un sinistro

(Relazione Per. Ind. Andrea Del Cesta) 

Negli ultimi anni si è assistito a un grande dibattito sul tema del “reato di omicidio stradale”: l’introduzione di una simile fattispecie è diventata ormai necessaria per diffondere la consapevolezza della reale pericolosità che comporta la guida in stato di ebrezza e/o con velocità estreme. Il testo proposto dalla 2a commissione permanente (Giustizia) del 27 maggio 2015 pone tre punti fondamentali: (1) la guida “in stato di ebrezza e/o di alterazione psico-fisica”, (2) il “cagionare per colpa”, (3) l’eccesso di velocità “in almeno il doppio della velocità consentita nelle strade urbane” o “in almeno 50 km/h oltre il limite vigente nelle strade extraurbane”.

 

Tralasciando gli aspetti di natura medico-legale, l’identificazione della “colpa” e la stima delle “velocità dei veicoli” sono demandate all’analisi tecnica della dinamica del sinistro. Analisi, il cui fondamento è rappresentato dai rilievi effettuati dal Personale di Polizia Giudiziaria che interviene sul luogo dell’evento. Con l’avvento del reato di Omicidio Stradale, il ruolo dell’Accertatore, inteso come forze di PG, ricoprirà quindi un ruolo estremamente fondamentale e di grande responsabilità, in quanto Egli assumerà la figura di “testimone” per tutti gli accertamenti non ripetibili che potranno fornire la prova per la determinazione delle colpe sopra elencate.


L’entrata in vigore di norme severe e punitive aumenterà perciò il dovere morale di chi è chiamato ad investigare le conseguenze di un sinistro, e comporterà la necessità di introdurre una precisa metodologia di indagine, che stabilisca la prassi per l’analisi dello stato dei luoghi ai fini della successiva ricostruzione. La scena di un sinistro contiene infatti un enorme quantitativo di informazioni, che l’analista ricostruttore può e deve utilizzare durante la fase di analisi. Sebbene alcune di esse possano essere reperite anche in momenti successivi all’evento, altre informazioni devono necessariamente essere documentate nell’immediatezza del fatto. Il primo progetto a livello nazionale in questo senso è stato l’introduzione della Norma UNI 11472 del Gennaio 2013, rivolta alla definizione di una procedura di rilievo univoca per tutte le forze di PG. La Norma stabilisce una ragionevole sequenza di operazioni da compiere durante gli accertamenti e, nel suo incipit, descrive la portata del lavoro da svolgere: “Devono essere rilevati tutti gli elementi riconducibili all’incidente. E’ opportuno rilevare anche tutti quegli elementi la cui pertinenza all’incidente risulti al momento dubbia (…)”.

Già allo stato attuale, la Norma inquadra quindi la necessità di un’indagine in cui niente sia trascurato. Nonostante ciò, a giudizio dello Scrivente, l’introduzione del reato di Omicidio Stradale renderà necessario definire un ulteriore fondamentale attività: la verifica e la documentazione di eventuali alterazioni della scena, operate – anche involontariamente – dalle altre persone presenti. Non di rado, infatti, i Vigili del Fuoco, il Personale Sanitario, i Testimoni etc. intervengono sulla scena contestualmente agli Accertatori. Nei sinistri per cui potrà configurarsi la fattispecie dell’omicidio stradale, sarà perciò necessario reperire informazioni su tutte le operazioni effettuate prima e/o durante gli accertamenti, e.g.: posizione e spostamenti dei mezzi di soccorso, modificazioni allo stato dei luoghi e dei veicoli, spostamenti delle persone all’interno della scena (anche se idealmente la strada dovrebbe essere chiusa al traffico per impedire il passaggio dei veicoli e quindi l’inquinamento del campo del sinistro.).


Durante le successive analisi sarà infatti fondamentale comprendere, ad esempio, se una traccia di liquido sia stata prodotta da una perdita di una radiatore durante la collisione o dalla condensa dell’impianto di condizionamento di un’ambulanza! A tal proposito, accertamenti eseguiti in date successive al giorno del sinistro, se non necessari, andrebbero sempre evitati, al fine di non incorrere in modificazioni della scena del sinistro per eventi successivi a quello in esame.




Tenendo conto di quanto sin ora discusso, con riferimento alla Norma UNI e alle pubblicazioni scientifiche nel settore, il seguente approccio al rilievo della scena di un sinistro può garantire un risultato efficace:

  1. rilievo fotografico preliminare della scena (mediante strumentazione fotografica di alta qualità e, in ora notturna, con adeguata illuminazione con lampade stazionarie di alta potenza.);
  2. individuazione degli elementi di evidenza (e.g. tracce, posizioni di quiete) con gessi/vernici/marcatori;
  3. rilievo fotografico dettagliato
  4. misurazioni e rilievo dell’ambiente circostante
  5. analisi dei singoli veicoli (prima del loro spostamento, spesso si rinvengono sui mezzi danni dovuti allo spostamento/trasporto da parte dei soccorritori).
  6. descrizione del sinistro, dell’intervento effettuato e di tutte le modificazioni alla scena intercorse durante lo svolgimento dei rilievo

La prima sessione di fotografie rappresenta una misura di sicurezza per il recupero delle informazioni che potrebbero andare accidentalmente distrutte e/o modificate nelle fasi successive. Durante tale fase, è quindi auspicabile mantenersi il più possibile al di fuori della scena. Nel passaggio successivo, le tracce deperibili (e.g. segni di pneumatico, tracce ematiche, etc.) vengono evidenziate – ma non coperte – con gessi e/o vernici. La seguente fase di scatti è votata alla documentazione degli elementi di evidenza e delle marcature effettuate, e può costituire la base per una successiva operazione di fotogrammetria 3D. Per garantirne la massima funzionalità ai fini della ricostruzione, le fotografie andrebbero scattate con i seguenti accorgimenti (tutti gli elementi dovrebbero essere numerati con appositi cartellini visibili nella documentazione fotografica e riportati in legenda e in planimetria):

a)     le tracce e le posizioni di quiete andrebbero fotografate rispetto alle direzioni di tutti i veicoli coinvolti, partendo da una distanza tale per cui l’intero piano viabile e gli oggetti di contorno (e.g. segnaletica) siano visibili; successivamente, ogni elemento di interesse potrà essere documentato avvicinandosi gradualmente.

b)     riprendere le posizioni di quiete anche da direzioni ortogonali all’asse stradale;

c)     i danni esterni ai veicoli, agli oggetti e le tracce andrebbero fotografate da tutte le posizioni cardinali, e ove possibile anche con panoramiche a 360°;

d)     nel caso siano rilevanti, corredare di fotografie anche gli accertamenti alle parti interne dei veicoli: stato degli airbag e delle cinture di sicurezza, danni agli arredi;

e)     nel dubbio, è preferibile fotografare tutti gli elementi che possono essere coinvolti nel sinistro – anche se ciò non sia immediatamente appurabile; inoltre è consigliabile attendere la rimozione dei mezzi per verificare e documentare la presenza di tracce sottostanti.

f)       durante la documentazione del piano viabile la fotocamera andrebbe tenuta il più possibile orizzontale, al fine di rendere evidenti eventuali pendenze.

g)     ove necessario è possibile documentare anche i tratti precedenti la zona della collisione, secondo le direzioni dei veicoli, allo scopo di verificare la segnaletica verticale presente.

I successivi passi, imprescindibili, comportano sia la raccolta delle informazioni metriche relative a tutti gli elementi di evidenza accertati sia la descrizione puntuale della scena, degli interventi effettuati, delle eventuali alterazioni. Facendo alcuni esempi concreti: sarà necessario documentare i segni di pneumatico (frenata, imbardata, accelerazione, traslazione) e loro eventuali discontinuità, frammenti di parti plastiche o meccaniche, liquidi, tracce di vernice, tracce ematiche e/o di liquidi organici o oggetti correlati al sinistro (indumenti, etc.), incisioni sul manto stradale. Dovranno essere accertare le posizioni di quiete dei mezzi e/o delle persone coinvolte – nonché verificare loro eventuali spostamenti prima dell’intervento – ed individuare il potenziale coinvolgimento di arredi urbani o di altri oggetti nel sinistro (e.g. alberi, pali). Per quanto concerne i veicoli, sarà necessario individuarne i danni, documentare eventuali abrasioni, tracce gommose e/o organiche, scalfitture; dovrà poi essere accertata l’assenza di alterazioni messe in atto prima dell’intervento; infine dovrà esserne documentato lo stato degli interni: segni sulle cinture di sicurezza (strappi, lesioni, intervento del pretensionatore), apertura degli airbag (e/o valutarne l’eventuale stato di disattivazione prima del sinistro), segni di impatto con gli occupanti o altri danni agli arredi. Descrizioni puntuali delle situazioni proposte ed ulteriori esempi possono essere reperiti all’interno della Norma UNI 11472.

Per concludere questa breve panoramica, che spero possa fornire validi spunti di riflessione, vorrei presentare una tecnologia relativamente recente (il grande sviluppo si è avuto a partire dal 2010) che permette di utilizzare quasi ogni macchina fotografica come uno strumento di misura in 3D. Tale tecnologia, denominata Multi-View-Stereo e afferente alla branca della Computer Vision, consente di utilizzare le fotografie per ottenere nuvole di punti tridimensionali dei soggetti fotografati. Rispetto alle classiche tecniche fotogrammetriche, gli approcci di questo tipo, non richiedono ne l’utilizzo di apparecchi dedicati ne sono vincolate alla classica ripresa stereoscopica.


E’ sufficiente riprendere il soggetto di interesse da più punti di vista per ottenere automaticamente un modello tridimensionale completo del soggetto stesso. Attraverso poche misurazioni prese sul posto, sarà poi possibile rimettere in scala la nuvola di punti per ottenere un modello con riferimenti metrici esatti (entro le approssimazioni accettabili per le esigenze della ricostruzione).

In una prossima pubblicazione verrà trattata nel dettaglio la teoria alla base di queste tecniche, saranno discussi gli aspetti pratici e applicativi e verranno presentati i limiti di affidabilità.

 

P.I. Andrea Del Cesta

Analista ricostruttore

L’analista ricostruttore e la prevenzione dell’incidente stradale La prevenzione attraverso la conoscenza del rischio

By | Varie

L’analista ricostruttore e la prevenzione dell’incidente stradale

La prevenzione attraverso la conoscenza del rischio

Relazione Dr. Antonio Pietrini) 

 

Da sempre le associazioni di categoria dei professionisti della ricostruzione della dinamica del sinistro, che a questo convegno si presentano per la prima volta unite in quest’unica associazione A.S.A.I.S.-EVU Italia che oggi rappresenta di fatto tutti gli analisti ricostruttori che hanno scelto di compartecipare le loro esperienze, hanno messo nella propria mission la prevenzione dell’incidente stradale, cioè l’analisi per migliorare la sicurezza sulle strade.

 

Potrebbe sembrare antitetico all’attività dell’analista ricostruttore quello di impegnarsi per ridurre le casistiche su cui operare, ma così non è nel senso che la consulenza dell’analista ricostruttore dovrebbe servire anche e speriamo sempre più, a cercare di prevenire gli incidenti e non solo intervenire a posteriori a indicare come si sono svolti i fatti e quindi a consentire a chi di dovere di attribuire le responsabilità, che comunque non permettono di ridare la vita a chi l’ha persa, né di ridare la salute a chi è stato gravemente menomato da un incidente stradale.

Dopo questa premessa ve ne sono altre, fondamentali per avere un corretto approccio con la problematica della sicurezza stradale.

E’ auspicabile, in primo luogo, che l’impegno dedicato dalle associazioni familiari vittime della strada al raggiungimento del risultato di cui oggi si parla e cioè all’introduzione del reato di omicidio stradale, non si fermi qui.

E’ opportuno, anzi, indispensabile, che quell’impegno si traduca ora in qualcosa che è ancor più importante e concreto e cioè in una forte spinta perché incidenti come quello che li ha così gravemente colpiti non si ripetano, cioè perché migliori l’educazione stradale finalizzata alla sicurezza sulle strade e alla prevenzione degli incidenti.

In questo senso ci auguriamo di poter lavorare insieme perché nel campo della educazione stradale, soprattutto della prevenzione dell’incidente, si sta facendo comunque molto poco e spesso, purtroppo, molto male.

Se chi ha sostenuto la battaglia per l’introduzione del reato di omicidio stradale lo ha fatto pensando che questo potesse costituire un incentivo a migliorare la sicurezza sulle strade, ha sicuramente commesso un grosso errore di valutazione.

Non mi aspetto, purtroppo, che dall’approvazione di questa norma consegua una diminuzione degli incidenti stradali gravi.

Del resto questa aspettativa potrebbe nascere solo dalla ipotesi che fino ad oggi si andasse sulla strada quasi con la licenza di uccidere perché tanto dall’omicidio per l’incidente stradale si sarebbe usciti con una pena molto modesta. 

Si dovrebbe, cioè, pensare che il conducente di una vettura o di altro veicolo abbia causato fino ad oggi l’incidente stradale mortale perché tanto non ne avrebbe avuto gravi conseguenze.

Non credo che sia stato così, neppure per gli ubriachi, in quanto l’ubriaco che si mette alla guida causando poi l’incidente stradale non lo ha fatto sicuramente perché pensava tanto la condanna sarà lieve: l’ha fatto invece perché non ha avuto la capacità psico-fisica e morale di valutare il rischio a cui andava a sottoporre gli  altri e se stesso mettendosi alla guida in quelle condizioni.

Ecco quindi che, ottenuto questo risultato, i familiari delle vittime della strada non possono estraniarsi da una battaglia che è ancor più importante e ancora più vicina al loro dolore.

Sapere che nel futuro chi commetterà un omicidio in un incidente stradale in situazioni che avrebbero potuto a priori permettergli di evitarlo, non mettendosi alla guida in certe condizioni o non mettendo in atto determinati comportamenti fortemente pericolosi, verrà punito con il giusto peso che quelle infrazioni comportano, non può dar loro più soddisfazione morale del sapere di aver fatto qualcosa perché altri genitori, figli, parenti non si vengano a trovare un domani nelle loro stesse condizioni, cioè qualcosa che serva a ridurre la possibilità degli incidenti stradali.

Che cosa si è fatto finora ai fini della educazione stradale e della prevenzione degli incidenti?

Si è cercato di insegnare le regole.

E’ sufficiente?

Prima ancora di porsi la domanda se sia sufficiente occorre porsene un’altra: quali sono stati i risultati?

La risposta è “sicuramente inferiori alle aspettative” e allora ci si dovrebbe cominciare a chiedere “perché?”

L’educazione alla corretta conoscenza e adesione alle norme del C.d.S. è importante, ma se ci si limita a educare alla conoscenza delle norme si può ottenere un miglioramento della situazione nella circolazione stradale e quindi una diminuzione degli incidenti stradali solo nel caso in cui tutti rispettino sempre le norme.

Si tratta evidentemente di un’utopia ma soprattutto, per fortuna, si tratta anche di un’errata valutazione e più ancora di un errato approccio alla problematica della prevenzione.

Il salto di qualità consiste proprio nell’integrare il concetto di responsabilità con un ben più importante concetto di prevenzione che è quello della conoscenza del rischio.

Finché la prevenzione dell’incidente stradale sarà affidata, sia dal punto di vista educativo, che ancor più dal punto di vista delle norme, a definire di chi sarà la colpa ad incidente avvenuto e questo è ciò che ci fa nove volte su dieci, sarà difficile ridurre drasticamente la casistica degli incidenti stradali,

L’applicazione delle norme porta senz’altro alla determinazione del responsabile ad incidente avvenuto ma difficilmente alla prevenzione degli incidenti dal momento che è impensabile che sulle strade tutti e sempre aderiscano a tutte le disposizioni, unica condizione per cui si avrebbe anche un effetto preventivo sulla riduzione degli incidenti.

Del resto nella circolazione odierna è impossibile aderire alle norme sempre in maniera rigorosa.

Basti pensare alla circolazione urbana: se tutti aderissero interamente alle norme applicandole alla lettera non faremmo altro che passare da un grande ingorgo a un altro: pensiamo ad esempio al fatto che un incrocio dovrebbe essere impegnato soltanto quando si ha la certezza di poterlo liberare immediatamente e quindi non potremmo inserirci in un incrocio dietro un altro veicolo ma dovremmo aspettare ogni volta che il veicolo che ci precede completi l’attraversamento per poter avere la certezza di poter fare altrettanto.

Ma soprattutto l’adesione alle norme vincola chi ha un doveree non pone la necessaria attenzione su chi ha il relativo diritto, cioè coinvolge soltanto una delle parti che utilizza la strada, mentre il salto di qualità con l’educazione alla conoscenza del rischio non si limita a definire il dovere nel concedere la precedenza, nel tenere una velocità adeguata, nell’evitare un determinato comportamento perché sanzionato, ma va oltre, indicando anche a chi potrebbe usufruire del diritto conseguente, ad esempio, dell’avere la precedenza o del contare che non venga effettuato un certo tipo di sorpasso, o nel contare su una certa velocità, la valutazione del rischio che corre nel momento in cui pone in essere il proprio diritto.

Certo, se si dovesse verificare l’incidente, la colpa sarà di chi avendo un dovere non lo ha rispettato, ma se anche chi ha il diritto corrispondente si comporta in modo da utilizzare con la massima prudenza quel diritto probabilmente l’incidente non accade.

L’analista ricostruttore sa benissimo che è molto più facile che l’incidente si verifichi quando i comportamenti di entrambi sono stati poco oculati che non quando, a fronte del comportamento illecito di uno, vi sia stato un comportamento consciamente prudente dell’altro.

Posso portare in questo senso l’esempio più importante, quello dell’investimento del pedone: è più che giusto che il conducente di un veicolo che transita sulla sede stradale sappia che deve concedere la precedenza al pedone sull’attraversamento pedonale ed è più che giusto che se non lo fa ne sopporti le conseguenze sanzionatorie, ma l’investimento del pedone è molto più facilmente evitabile da parte del pedone che da parte del possibile responsabile.

Occorre tuttavia che il pedone abbia ben chiaro il concetto che nel momento in cui scende dal marciapiede per attraversare la strada, anche se è sull’attraversamento pedonale, corre il rischio di essere investito e quindi è opportuno che, pur avendo il diritto di precedenza, usi con molta oculatezza quel diritto, scendendo dal marciapiede solo con la certezza di non avere in prossimità veicoli che potrebbero non rispettare il loro obbligo.

Cosi facendo non avrà il vantaggio di essere investito avendo ragione, ma avrà quello ben maggiore di non essere investito.

 

Ignorare il contributo di coloro che si occupano giornalmente di analizzare le dinamiche degli incidenti e quindi di verificare le criticità nei comportamenti e soprattutto le possibilità che avrebbero potuto esserci di evitare gli incidenti, non solo le inadempienze, ma anche le oggettive possibilità pratiche, ha portato fino ad oggi a scelte discutibili anche sotto il profilo delle spese finalizzate alla prevenzione.

Anche per quanto riguarda queste spese spesso il concetto imperante da parte dell’autorità o dell’ente pubblico che le mette in atto è quello di dare certezza delle responsabilità, cioè dare certezza nel post-incidente, raramente quello di operare perché l’incidente non accada.

Sono certo ed ho avuto, nella mia attività di analista ricostruttore con ormai oltre 40 anni di esperienza, modo di riscontrarlo spesso, che se si ponesse un quesito ai responsabili della circolazione stradale, non dico di tutte ma sicuramente di molte città, si avrebbero delle risposte tutt’altro che finalizzate alla sicurezza.

Se di fronte ad un attraversamento in una certa posizione che ha prodotto già nel corso degli ultimi tempi investimenti, chiedessimo il da farsi, sono quasi certo che ci sentiremmo rispondere che si deve provvedere alla predisposizione in quel punto di un attraversamento pedonale.

In questo modo probabilmente gli investimenti aumenterebbero perché aumenterebbe la frequenza di attraversamento e infatti l’intervento da eseguire è esattamente il contrario: mettere delle barriere che impediscano l’attraversamento in quel punto perché eccessivamente pericoloso.

 

Se mal comune fosse mezzo gaudio potremmo consolarci: in Inghilterra si sta discutendo da tempo sulla utilità degli attraversamenti pedonali.

In un mondo che vive di statistiche, purtroppo spesso lette senza accendere il cervello, è emerso che la maggior parte di investimenti di pedoni in città si realizza sugli attraversamenti pedonali e allora la conclusione è: togliamo gli attraversamenti pedonali.

Ovviamente si tratta di una considerazione geniale: è ovvio che in città la maggior parte degli investimenti di pedone si realizzino sugli attraversamenti pedonali. In teoria, con una piena adesione alle norme, tutti gli investimenti di pedone si dovrebbero verificare sugli attraversamenti pedonali in quanto in città sono ben poche le situazioni in cui l’attraversamento pedonale si trova a oltre100 m.

E’ l’attraversamento pedonale a costituire pericolo o è piuttosto, da un lato la mancata adesione alla disposizione di legge che prevede il corretto comportamento dell’automobilista e dell’utente della strada in genere in presenza di attraversamenti pedonali e dall’altro la mancata educazione del pedone a comprendere il rischio dell’attraversamento pedonale?.

In questo senso posso portare un esempio recente.

La ProvinciaAutonomadi Bolzano si è impegnata in quella che a suo parere doveva essere una campagna di educazione alla prevenzione e alla sicurezza stradale disponendo sulle strade più frequentate questa bella immagine.

 

Che si tratti di una bella immagine è fuori dubbio: il fotografo merita un premio ma che si tratti di un’immagine assolutamente controproducente rispetto alla sicurezza stradale è altrettanto indubbio.

Vedendo quest’immagine si ha la sensazione di uno splendido parco giochi per bambini: un bel prato verde, su cui danno poco fastidio quelle strisce bianche e addirittura una sicurezza tale per cui una bambina di pochi anni può attraversare da sola e può farlo in maniera così pacifica da potersi tirare dietro la zebra a dondolo, cioè un idilliaco luogo di sicurezza.

Mai messaggio potrebbe essere più errato: il messaggio da far pervenire è l’esatto contrario e cioè “per quanto possa cercare di proteggerti comunque nel momento in cui attraversi una strada sei sottoposto al rischio di  investimento”.

Non posso neppure dire che non ci sia attenzione alla problematica dell’educazione stradale perché non appena ho scritto che quel messaggio è fortemente sbagliato, esponendone i motivi, nel giro di pochi giornila Provincia Autonomalo ha ritirato dalle strade sostituendolo con un altro in cui si dice che mettersi alla guida dopo aver bevuto aumenta fortemente il rischio di incidente, che è un messaggio decisamente più corretto.

 

Usare preventivamente, nella progettazione, le conoscenze che l’analista ricostruttore può avere in merito a ciò che accade sulle strade permetterebbe di gestire al meglio tutto ciò che riguarda la sicurezza stradale.

 

Ovviamente di esempi di interventi che accentuano il rischio mentre vorrebbero essere interventi che lo limitano se ne possono portare a iosa: è di pochi mesi or sono l’ipotesi di consentire ai ciclisti di procedere contromano nelle strade a senso unico quando non vi è uno spazio idoneo per una ciclabile e la motivazione è stata “comunque il ciclista va contromano”.

Qui i problemi cominciano ad essere molteplici

1)     perché il ciclista va contromano? Perché non si vede mai un intervento della polizia locale o delle autorità preposte, non importa neppure che sia sanzionatorio ma per lo meno educativo, che fermi quel ciclista lo faccia girare nella direzione corretta e tornare indietro. Il ciclista non deve prendere la patente e quindi l’educazione che gli si deve trasferire è molto più radicale anche rispetto alle norme fondamentali della sicurezza.

2)     Che logica c’é comunque nell’assecondare un’inadempienza, che non può che peggiorare la sicurezza sulle strade, se non quella assurda di creare una risarcibilità delle vittime, che sicuramente aumenteranno, anziché pensare a prevenire le situazioni di pericolo?

 

Tutto quello che ho detto finora, peraltro, è sintetizzato in un articolo del C.d.S. che è contemporaneamente il più importante e il più disatteso: il più importante dal momento che viene definito come articolo guida e il più disatteso perché non prevede l’applicazione di sanzioni, che è l’art. 140 del C.d.S. che recita:

“Gli utenti della strada devono comportarsi in modo da non costituire pericolo o intralcio per la circolazione ed in modo che sia in ogni caso salvaguardata la sicurezza stradale”

Non si rivolge solo all’automobilista che deve dare la precedenza, che deve tenere una velocità adeguata, che deve arrestarsi in presenza di attraversamento pedonali, ma si riferisce anche al pedone, che non deve attraversare per forza perché è un suo diritto, anche a rischio di essere investito; si riferisce al ciclista che non deve attraversare sulle strisce come se fosse un pedone o che non deve insinuarsi tra i veicoli fermi o affiancarsi a un veicolo industriale in attesa di ripartire con una svolta a destra, comportamento che spesso ne ha determinato l’investimento.

Che sia il più importante con riferimento all’educazione stradale e al corretto comportamento di tutti e ribadisco di tutti sulle strade è perciò pacifico.

Che sia il più disatteso è non solo altrettanto certo ma è anche l’indicatore di quanto poco e male si faccia per la sicurezza sulle strade, soprattutto in area urbana!!!

Dicendo che fino ad oggi l’educazione stradale è stata affidata solo all’insegnamento delle norme del Codice della Strada si è detto solo una parte della verità.

Si dovrebbe infatti aggiungere “affidando l’adesione alle norme solo all’aspetto repressivo” e ancora saremmo lontani dal vero, perché l’aspetto oggi più curato è quello sanzionatorio a fini di cassa, inutile nascondersi dietro un dito.  

Non c’è niente di male e anzi è più che corretto che chi commette un’infrazione ne paghi le conseguenze anche in termini economici. Il problema è come si elevano le contravvenzioni e quali contravvenzioni non vengono mai contestate.

Sicuramente vengono contestate quelle che fanno più cassa e quindi divieto di sosta e velocità eccessiva, mentre tra quelle molto raramente contestate si pongono tutte le inadempienze all’art. 140 del C.d.S., che non prevedendo sanzioni paiono irrilevanti per tutti i Comuni italiani, ma anche tutte le infrazioni relative ad attraversamenti irregolari dei pedoni e dei ciclisti, al transito contromano dei ciclisti, alle mancate segnalazioni direzionali e allo scorretto uso della precedenza nelle rotatorie. Può effettivamente creare qualche remora in più l’applicazione di sanzioni a chi, pedone o ciclista, potrebbe non avere la patente e perciò essere meno informato e infatti il problema principale non è l’applicazione delle sanzioni ma il metodo con cui oggi si applicano.

A meno dei casi in cui conseguono al rilievo di un incidente, il più delle volte le sanzioni vengono applicate a distanza.

A distanza nel vero senso del termine perché a distanza di luogo e di tempo.

Ci si preoccupa sempre più di applicare meccanismi di rilevamento come telelaser e videocamere per creare situazioni di prova inconfutabile della sanzione, comminata a distanza di tre o quattro mesi.

Bene! Questo è corretto per fare cassa ma è inutile ai fini dell’educazione stradale: chi viene sanzionato in questo modo recepisce di essere stato sfortunato perché l’infrazione è disgraziatamente avvenuta in presenza di una videocamera, spesso si sente oggetto di un sopruso perché non è in grado, a così lunga distanza di tempo dal fatto di dimostrare … non si sa bene cosa, ma ben difficilmente recepisce il fatto che dal suo comportamento scorretto nasce un maggiore rischio per sé e per gli altri.

Anziché capire che non deve ripetere quel comportamento perché è un comportamento a rischio e per questo vietato, si concentra sulla logica perversa “devo stare più attendo alle videocamere o ai telelaser”.

Soprattutto in area urbana, dove le dinamiche lo consentono agevolmente, si potrebbe fare molto per ridurre gli incidenti anche solo con interventi delle polizie municipali finalizzati meno all’incasso di una sanzione e più all’insegnamento di un corretto comportamento.

Qualche contravvenzione in meno per divieto di sosta probabilmente non manderebbe in fallimento il Comune, ma qualche attenzione in più a fermare un ciclista contromano, sanzionandolo per l’infrazione che sta commettendo e spiegandogli che la bicicletta è soggetta al rispetto delle norme, ma contemporaneamente spiegandogli che quel transito contromano lo mette fortemente a rischio e magari fargli constatare che da ogni passo carraio potrebbe uscire un’auto che non si aspetta la sua presenza contromano e perciò è molto più facile che lo investa, far capire a un pedone che arrivare di corsa all’attraversamento pedonale senza guardare è molto pericoloso, ancor più se lo fa perché il semaforo è appena diventato rosso confidando di anticipare la ripartenza dei veicoli, far capire al ciclista che non più attraversare sull’attraversamento pedonale transitando in sella alla propria bicicletta e magari a una certa velocità, perché toglie lo spazio-tempo a chi transita sulla strada per fermarsi, ridurrebbe i feriti ed eviterebbe probabilmente anche qualche morto.

Uno dei concetti più importanti ai fini della prevenzione è anche, apparentemente, uno dei più banali ed  è legato alla percezione della velocità.

Anche in questo caso si tratta di percezione nel senso più vasto del termine:

dalla attribuzione delle conseguenze, alla valutazione reale in termini pratici immediati.

Per il primo aspetto e cioè le possibili conseguenze bisognerebbe indirizzare il concetto verso la velocità verticale, che viene recepita da tutti in termini di ben maggiore capacità lesiva.

Se si parla di un urto alla velocità di40 km/h, anche di un motociclista o addirittura di un ciclomotorista (cioè di soggetti totalmente esposti) nessuno (tolti coloro che di incidenti si occupano per lavoro) ne ricava una neppur remota ipotesi di rischio per la vita, ma se si cominciasse a trasmettere un raffronto con la caduta dall’alto: cadendo dal secondo piano di una casa si rischia la vita? La risposta è senz’altro affermativa per tutti e allora si tratta solo di far capire che cadendo dal secondo piano di una casa si arriva a terra a40 km/h.

L’altra valutazione non presente nell’utente della strada è la percezione pratica della velocità: parlare di km/h significa parlare di una grandezza estranea al quotidiano se non per il suo esclusivo riferimento al tachimetro.

Del resto anche per noi, ricostruttori di incidenti stradali, una velocità in km/h ha poco senso. Ciò che conta è la velocità nel breve e infatti anche per noi la velocità è quella espressa in m/s.

Potrebbe sembrare una banalità ma per quasi tutti gli utenti della strada è ben diverso pensare a50 kmpercorsi in un’ora o a14 metripercorsi in un secondo!!!

Collegato indissolubilmente a questo vi è un altro degli aspetti fondamentali dell’educazione alla sicurezza sulle strade, che è legato al superamento della pretesa di onnipotenza che è già una caratteristica dell’uomo di oggi e che si esaspera nell’uomo alla guida.

Far capire a chi si mette alla guida di un veicolo che comunque vi sono tempi e quindi spazi percorsi che sono insopprimibili non dipendendo dalla sua capacità psico-fisica sarebbe un passo importante sulla strada della diminuzione degli incidenti stradali.

Non si deve neppure avere paura di usare qualche nozione di fisica e chi meglio dell’analista ricostruttore potrebbe spiegare in modo semplice il concetto di intervallo di reazione.

Se chi è alla guida impara e tiene ben presente che tra quando percepisce il pericolo e quando la sua reazione di frenata inizia ad avere efficacia comunque, indipendentemente dalla sua onnipotenza, trascorre circa 1 secondo, diventa più facile capire che in quel secondo tutto ciò che incontra lo investe alla velocità a cui sta viaggiando perché non ci sarà ancora nessun rallentamento e quindi

a 50 km/h per 14 metri investirà ogni ostacolo a 50 km/h;

a 70 km/h per quasi 20 metri investirà a 70 km/h;

a 90 km/h per 25 metri investirà a 90 km/h ecc…,

Ma sarà più facile anche far capire che poi non vi sarà un arresto del veicolo ma anzi lo spazio per fermarsi sarà ancora tanto più importante quanto maggiore era la velocità iniziale e così

a 50 km/h si fermerà solo 28 metri dopo aver deciso di farlo

a 70 km/h si fermerà solo 47 metri dopo aver deciso di farlo

a 90 km/h si fermerà solo 60 metri dopo aver deciso di farlo.

Troppo spesso le norme relative alla circolazione stradale sono state condizionate da populismo, volontà del legislatore di cavalcare richieste che all’apparenza possono incontrare il favore dell’opinione pubblica o, peggio ancora, comportamenti scorretti reiterati ai quali, anziché porre rimedio, si preferisce dare i crismi della regolarità, non preoccupandosi delle conseguenze in termini di pericolosità nella circolazione.

E’ il caso, ad esempio, della norma che ha previsto la possibilità di viaggiare a150 Km/h. su alcune autostrade.

Da un lato la norma (ad oggi inapplicata perché non sono stati individuati tratti autostradali su cui autorizzarla) è stata sicuramente condizionata dal fatto che si voleva andare incontro alle richieste di chi chiedeva di poter viaggiare a velocità decisamente più alte, ma ciò che più conta in negativo è che lancia il messaggio che tra 130 e150 Km/h. la differenza è sostanzialmente poca se non nulla o addirittura si lascia condizionare dal fatto che “tanto a150 Km/h. ci vanno già in molti”.

Una serie infinita di aberrazioni sotto il profilo della sicurezza stradale e della prevenzione.

Cominciamo dal “tanto a 150 ci vanno già tutti” cosa significa?

Significa che siccome è un illecito comportamento molto diffuso, regolarizzarlo basta a farlo divenire un comportamento lecito, ma non può certamente diminuirne la pericolosità.

Veniamo a un’altra implicazione:

il legislatore non ha considerato neppure che per alcuni, molti di quelli per i quali la norma dei150 Km/h. era una norma attesa, è un po’ come porre il limite del rischio a200 Km/h..

Si perché 200 Km/h. meno il 5% di tolleranza nel rilievo significa 190 Km/h. che significa 40 Km/h. più del limite e che quindi riduce il rischio ad una contravvenzione ed una decurtazione di punti.

Ho volutamente utilizzato il termine rischio, perché purtroppo, nel concetto che il sistema esclusivamente repressivo utilizzato fino ad oggi ha radicato in molti, il rischio non è quello dell’incidente cioè quello di farsi male o di far male ad altri, è quello di dover pagare una contravvenzione e vedersi decurtare qualche punto dalla patente.

Ma al di là del concetto diseducativo per cui “visto che comunque già succede regolarizziamolo”, vi è l’altro aspetto: 150 o130, infondo, nell’immaginario collettivo, sono già valori assimilabili per i quali si rileva ben poca se non nessuna differenza.

Inserirlo in una norma di legge conferma questa credenza popolare e invece, ancora una volta, occorrerebbe fare proprio il contrario: far capire a chi usa la strada quale sia l’enorme differenza che esiste tra viaggiare a 130 e viaggiare a 150 Km/h. e questo sono proprio gli analisti ricostruttori ad essere in grado di farlo, con le loro esperienze, meglio di chiunque altro.

Se è vero che a velocità costante130 Km/h. sono già una velocità assolutamente devastante, ne più e ne meno dei150 Km/h., è vero anche che nella fase evolutiva della circolazione stradale le cose stanno in modo ben differente.

Basterebbero queste due semplici nozioni a far capire perchè:

lo spazio di frenata è pari a:

s = v2 /2 g c

dove g = 9,81 m/s2 e c = 0,7 nel migliore dei casi

a 130 km/h che corrispondono a (130.000:3.600) 36,11 m/s

s = 36,112 / 2 x 9,81 x 0,7 =94,94 m.

a cui devono essere aggiunti i36,11 m. percorsi nell’intervallo psico tecnico di reazione, portando lo spazio per fermare il veicolo dal momento della reazione a

36,11 + 94,94 = 131,05 metri

 

a 150 km/h che corrispondono a (150.000:3.600) 41,66 m/s

s = 41,662 / 2 x 9,81 x 0,7 =126,37 m.

a cui devono essere aggiunti i41,66 m. percorsi nell’intervallo psico tecnico di reazione portando lo spazio per fermare il veicolo dal momento della reazione a

41,66 + 126,37 = 168,03 metri

e quindi 168,03 – 131,05 =37 metriin più prima dell’arresto del veicolo

 

prima conclusione oggettiva da trasferire come nozione di rischio:

se a130 Km/h., spazio di reazione e spazio di arresto compresi, occorrono circa131 m. per arrestarsi, a150 Km/h. ne occorrono 168 e cioè37 m. in più, che quindi già costituiscono una netta differenza di conseguenze, in quanto vi saranno altri37 m. nei quali il veicolo può ancora far danno.

ma c’è un’altra informazione fondamentale ai fini della conoscenza del rischio:

ciò che la maggior parte dei normali utenti dell’auto non sa è ciò che da questo deriva in fase di frenata.

Non si deve avere paura di proporre calcoli che per molti possono risultare astrusi, se da questi si traggono poi considerazioni comprensibili a tutti in termini di conoscenza del rischio!

E allora spieghiamo che ciò che produce i danni in una collisione è l’energia portata alla collisione e quando questa è dovuta a un veicolo in movimento dipende enormemente dalla velocità al punto che (non lo dico certo per gli analisti ricostruttori che lo sanno benissimo) se lo stesso veicolo viaggia a150 km/h. anziché a130 km/h. questo è quello che accade in quei37 metri in più prima di arrestarsi:

la sua velocità residua è pari a

v = √ v12– 2 g s c

inserendo i valori già noti v1=41,66 m/s; s= 131,05 – 41,66)=89,59 m; c=0,7

si ottiene una velocità residua:

v = 22,5 m/s che corrispondono a 81 km/h!

Ovvero: se a130 Km/h. dopo 131 m. il veicolo sarebbe stato fermo, a150 Km/h., dopo quegli stessi 131 m., quel veicolo ha ancora una velocità di oltre80 Km/h., che è una velocità fortemente devastante, capace cioè di creare lesioni gravissime, molto probabilmente mortali!

Ecco quindi che quella differenza che nell’opinione pubblica può apparire irrisoria, purtroppo rafforzata da quella disposizione di legge, in realtà ha connotazioni per cui si tratta invece di una differenza enorme sotto il profilo delle conseguenze che può portare.

 

Vorrei concludere proponendo un’innovazione legislativa: nelle rotatorie rendiamo obbligatoria la segnalazione con freccia a sinistra finché si rimane in rotatoria, restando in vigore ovviamente l’obbligo di segnalare con freccia a destra il momento in cui si intende abbandonare la rotatoria.

Oggi questa segnalazione sarebbe errata ai sensi dell’art. 154 Comma 4 del C.d.S. che vieta segnalazioni inutili e soprattutto che considera la circolazione in rotatoria come un proseguire sulla strada principale che è la rotatoria stessa, ma è altrettanto vero che molto spesso non vi sono spazi sufficienti per una corretta segnalazione della svolta in uscita dalla rotatoria ed altrettanto spesso la mancata segnalazione nasce da una inadempienza.

Ne consegue un’incertezza abbastanza accentuata nel non sapere come si comporterà effettivamente il veicolo in rotatoria.

Accentuare la scelta di rimanere in rotatoria con una segnalazione specifica e soprattutto con una manifestazione di intenzione e di uscire dalla rotatoria con la corretta segnalazione già oggi obbligatoria, renderebbe più difficile una errata valutazione.

Antonio Pietrini

Analista ricostruttore

Il Consulente Tecnico del Pubblico Ministero alla luce della Legge sull’Omicidio Stradale

By | Varie

 

Il Consulente Tecnico del Pubblico Ministero alla luce della Legge sull’Omicidio Stradale

Considerazioni sulle attività tecniche e sull’aspetto etico dell’assunzione dell’incarico

(Relazione Dr.ssa Manuela Caldironi) 

Quando un esperto nell’analisi e ricostruzione di incidenti stradali riceve dal Pubblico Ministero l’incarico di Consulente Tecnico, assume un ruolo di grande importanza nel complesso percorso che s’inizia con l’apertura di un Procedimento Penale e avrà termine dopo anni, durante i quali, quasi sempre, avrà luogo anche una causa civile, con molti interessi e diverse parti che si schiereranno a sostenerli.

 

Solo chi ha vissuto, a qualsiasi titolo, l’evoluzione di un simile percorso sa quanto sia lungo e complesso e, soprattutto, di come la “verità” che in esso si va cercando, così spesso presente nella mente di tutti con la propria accezione dotata di valore assoluto e incontestabile, debba piegarsi al più terreno ed umano significato di “verità processuale”.

Solo chi ha esperienza sa che, quasi sempre, nemmeno gli stessi protagonisti e testimoni sanno veramente cosa sia successo; soprattutto relativamente alle fasi precedenti all’impatto che sono, in ultima analisi, proprio le più importanti per la valutazione delle responsabilità, giacché in esse si sono sviluppate le cause del verificarsi del sinistro.

Per questa ragione, al di là della possibilità di assumere dichiarazioni testimoniali, si ritiene importante raccogliere quanti più dati oggettivi possibili e sottoporli all’analisi di un esperto affinché, in base ad essi, ricostruisca l’evento con metodo scientifico.

 A questo punto, però, diviene doveroso fare alcune considerazioni.

Le Autorità che intervengono sul luogo di un sinistro, debbono procedere secondo legge alla “comunicazione della notizia di reato” e, immediatamente, all’assicurazione delle fonti di prova ex art. 348 c.p.p, agli accertamenti urgenti sui luoghi, sulle cose e sulle persone, al sequestro del corpo del reato e delle cose a questo pertinenti ex art. 354 c.p.p. e, inoltre, debbono documentare, secondo le modalità ritenute idonee ai fini delle indagini, anche sommariamente, tutte le attività svolte, comprese quelle dirette alla individuazione delle fonti di prova, ex art. 357 c.p.p. .

Le attività ora brevemente riassunte, richiedono competenze specifiche: ad esempio, i rilievi di un incidente stradale dovrebbero essere eseguiti secondo i criteri descritti nella norma UNI 11472 e rappresentati con una idonea restituzione grafica. Il personale addetto ad intervenire sul teatro di un sinistro dovrebbe essere compiutamente formato a compiere i necessari accertamenti su tracce e cose che potrebbero subire alterazioni, ed istruiti a non esprimere mai valutazioni tecnico-scientifiche, che vengono invece richieste ad un esperto in materia, se nominato dal magistrato, secondo quanto esplicitato con la formulazione di un quesito.

Poiché frequentemente le attività di Polizia Giudiziaria sono invece compiute da personale privo degli strumenti necessari, costretto ad operare in numero insufficiente a gestire il contemporaneo compito di mettere in sicurezza la strada e di svolgere gli accertamenti e molto spesso scarsamente formato, gli errori sono frequenti e le omissioni tali da rendere assolutamente necessario che il Consulente Tecnico analizzi con attenzione critica i rapporti delle autorità e cerchi di rimediare, ripetendo con accuratezza le indagini per raccogliere gli elementi oggettivi necessari all’espletamento dell’incarico ricevuto.

Occorre anche considerare che tali accertamenti, anche quando non svolti all’interno di un incidente probatorio o di un incarico conferito ex art. 360, in un certo senso sono sempre “irripetibili”, giacché molte tracce ed evidenze andranno irrimediabilmente perdute con il passare del tempo e con la perdita della disponibilità dei veicoli, restituiti agli aventi diritto sempre più presto, per esigenze di risparmio di denaro pubblico, e altrettanto velocemente rottamati.

La perdita di informazioni fondamentali, perché inizialmente non correttamente raccolte o individuate come inerenti al sinistro, è sempre stata inaccettabile ma ora, con l’aggravamento delle pene previste in conseguenza della nuova legge, la ricostruzione dei fatti e l’individuazione delle cause del sinistro e dei relativi profili di responsabilità dei coinvolti farà la differenza fra condanne che possono differire anche di molti anni.

Maurizio Caprino, su “il Sole 24 Ore” scriveva: “In ogni caso, per giudicare correttamente occorre avere elementi certi, che vengono da rilevazioni complete e inappuntabili da parte delle forze dell’ordine, su cui poi si basino perizie serie. Tutte cose che troppo spesso l’Italia non può permettersi, essendo normalmente riservate agli omicidi volontari che più impressionano”.

Con l’entrata in vigore della nuova legge, nel caso di omicidio stradale compiuto sotto l’effetto di alcool o di sostanze stupefacenti, che comporta pene particolarmente severe, pur essendo vera, da parte del conducente, l’accettazione del rischio potenzialmente micidiale di guidare in tali condizioni, vero è anche che il nesso di causa tra lo stato di alterazione psicofisica e il verificarsi dell’evento deve sempre essere provato: ora, il compito di chi deve discernere è ancor più gravoso.

L’’incarico di Consulente Tecnico della Procura consente una grande libertà intellettuale, perché pur essendo il PM il rappresentante della Parte processuale che conduce la pubblica accusa, dominus dell’azione penale e delle indagini preliminari, il suo fine primario ed ineludibile nel processo non può che rimanere quello della ricerca della verità; da ciò discende immediatamente che il suo consulente, assunto il rango di Pubblico Ufficiale, possa e debba operare in assoluta scienza e coscienza.

Se da un lato questa libertà è di grande valore, dall’altro costringe all’assunzione di una responsabilità etica altrettanto grande. Il lavoro di valutazione compiuto dal Tecnico Ricostruttore, infatti, si muove in una vasta varietà di sfumature tra i due estremi, bianco e nero, dove le certezze sono poche e i dubbi molti e dove è obbligatorio proprio insistere su questi ultimi, con un lavoro quasi ossessivo, per giungere ad una ricostruzione che si avvicini il più possibile alla realtà dei fatti, attenti a fondare il proprio lavoro solo su dati oggettivi, raccolti con metodo incontestabile. Nulla di ciò che affermerà nelle sue conclusioni, infatti, può essere il risultato di pareri personali, quand’anche fondati sull’esperienza professionale.

La consapevolezza che il proprio lavoro fornirà al PM il fondamento cognitivo per motivare l’archiviazione o il rinvio a giudizio e, se svolto nell’ambito di un incarico ex art 360, rientrerà nel fascicolo processuale, fornendo al Giudice importanti elementi di prova, è sempre stata pesante; oggi, con la nuova legge sull’Omicidio Stradale, diverrà certamente motivo di ansia e di notti tormentate. Certamente non è al Tecnico che spetta di esprimere il giudizio di colpevolezza, ma egli contribuisce fortemente a formare il costrutto cognitivo sul quale lavoreranno le Parti processuali ed il Giudice stesso.

Come assumere una tale responsabilità con la sola accezione positive, superare l’ansia dell’errore? Il Giudice è formato professionalmente ad affrontarla, il Consulente Tecnico no. Io credo che esista un unico modo, principio etico e operativo al tempo stesso: occorre rimanere sempre fortemente ancorati al sapere scientifico che lo stato dell’arte della nostra professione consente, approfondendo le proprie conoscenze perseguendo con continuità il proprio aggiornamento professionale con curiosità e mente fresca, sempre disposta al confronto con le critiche altrui e senza concessioni al proprio ego, che spesso conduce a ricostruzioni ambiziose ma che a ben guardare hanno la solidità di un castello di carte. Occorre saper condividere con i tecnici delle Parti la metodologia per gli accertamenti, confrontandosi con apertura mentale a sano spirito scientifico, non appena la tipologia dell’incarico ricevuto ce lo consente: la verità, quella raggiungibile con la mente umana, è figlia del confronto e della collaborazione di menti diverse, che non si nascondono!

Occorre, infine, accettare i limiti propri e della propria scienza, accettando che la propria ricostruzione possa essere a volte non sufficientemente precisa o completa. Il CT del PM, anche se può lavorare su tutti i documenti del fascicolo che si formando con l’azione penale, proprio perché opera all’inizio di tutto l’iter processuale, può non essere a conoscenza di prove che si sono formate durante il dibattimento e, al contrario, può aver lavorato su elementi che non essendosi confermati nel dibattimento stesso, non sono assurti al rango di prove vere e proprie e, dunque, non rientrano nell’insieme di dati sul quale il Giudice formerà il proprio convincimento. In tal caso, durante l’esame in aula, il CT deve ricordare che il proprio ruolo è volto a fini di Giustizia e non deve nascondere l’incompletezza del proprio elaborato solo per difesa d’amor proprio; dopo tutto, soprattutto quando l’incarico è stato assunto ex art 359, il parere esperto aveva la principale funzione di motivare la decisione del PM di archiviare o rinviare a giudizio, non già di giungere al giudizio finale, affidato ad un Giudice terzo!

Occorre lavorare con la consapevolezza del peso che il proprio parere esperto avrà nel processo, ma anche del fatto che non tutto dipenderà da esso.

Inoltre, il Pubblico Ministero potrà chiedere di prorogare le indagini preliminari per una sola volta. Questo fatto si riflette direttamente sui tempi assegnati al Consulente per lo svolgimento del proprio incarico che, tuttavia, spesso è rallentato proprio dal ritardo con cui riesce ad entrare in possesso della documentazione necessaria, che deve essergli fornita dalle autorità che hanno svolto i rilievi e le prime indagini.

Il CT del PM, pertanto, correrà il rischio di dover gestire il compromesso tra la rapidità nello svolgimento dell’incarico e la qualità del proprio lavoro!

Esistono poi competenze, che il Consulente del Pubblico Ministero deve avere, che esulano dalle capacità propriamente tecniche che generalmente si ritengono importanti, ma che sono indispensabili per chi presti il proprio operato all’interno di un procedimento penale; tali competenze consistono essenzialmente nell’attitudine  ad esprimersi in modo preciso e puntuale, non solamente in forma scritta, ma anche orale e nella  capacità di comunicare concetti tecnico scientifici ai destinatari del proprio operato, che generalmente sono formati in discipline diverse.

Ciò ha a che fare con la differenza che intercorre tra gli “elementi di prova” e la “prova” vera e propria: mentre i primi sono raccolti durante le indagini preliminari, sono utilizzati per la consulenza ma non hanno in generale qualità probatoria, la seconda si forma in dibattimento, nel contradditorio delle parti davanti al Giudice. La deposizione del CT del PM, durante l’esame delle parti, diviene strumento importantissimo per la formazione del convincimento del Magistrato giudicante, ma perché sia efficace e idonea al raggiungimento di una verità processuale il più vicina possibile alla realtà dei fatti, deve essere chiara, precisa e comprensibile!

Tutto ciò considerato appare chiaro che il Consulente del Pubblico Ministero assume un ruolo centrale non soltanto con la propria “valutazione tecnica”, cuore dell’incarico, ma anche sin dalla prime fasi dell’indagine, contribuendo alla ricerca ragionata, corretta e completa degli elementi storici sui quali la valutazione delle responsabilità dovrà fondarsi. Sia che assuma il suo mandato nell’ambito di accertamenti irripetibili ex art 360 c.p.p. sia che contribuisca con le proprie “necessarie specifiche competenze” ex art 359 c.p.p. al completamento del costrutto conoscitivo della pubblica accusa e, conseguentemente, delle altre parti del processo, il Consulente del P.M. diviene protagonista della dialettica di formazione della prova.

L’operato del consulente tecnico, pertanto, dovrà essere valutato, in ragione della sua centralità nell’ambito del Procedimento Penale, sotto tre differenti prospettive:  la ricerca degli elementi oggettivi diretti allo ricostruzione dell’evento, l’individuazione della corretta metodologia scientifica per il raggiungimento della ricostruzione stessa e la capacità di fornire al Giudice uno strumento idoneo all’accertamento della eventuale colpa e della rilevanza causale della stessa in relazione all’evento  oggetto del reato, nel rispetto della scientificità delle proprie risposte e nella consapevolezza del limite della loro precisione. 

Da quanto detto, emerge l’importanza, al fine di una corretta valutazione dell’operato del Consulente Tecnico, dell’individuazione delle competenze che caratterizzano la specialità di ricostruttore di incidenti stradali, per verificarne la rispondenza allo “stato dell’arte”. A questo proposito, il completamento della Norma Uni 11294 rappresenta il raggiungimento dell’obiettivo di definire un criterio di valutazione definito, in grado di condurre alla formazione di un Albo di Tecnici Ricostruttori certificati.

Da ultimo, acclarata l’importanza del ruolo ricoperto dal CT del PM, emerge anche l’urgenza di un richiamo di natura etica a tutti i professionisti che operano come Tecnici Ricostruttori in ambito forense.

Sono molti i professionisti esperti ed affermati che scelgono di non lavorare più per la Procura della Repubblica. La motivazione principale risiede nello scarso riconoscimento economico che si ricava da una consulenza per il PM (ma lo stesso dicasi nel caso della perizia per il GIP).  Certamente la parcella professionale che si può emettere ad un cliente privato è generalmente ben superiore; inoltre, attraverso l’indicazione di un preventivo di massima della attività proposta al cliente, è possibile anche valutarne la resa economica: aspetto, quest’ultimo, di fondamentale importanza, poiché si sta parlando di una professione, caratterizzata anche da obblighi di adeguamento a canoni economici che vengono imposti (studi di settore)!

Vi è, inoltre, una considerevole differenza tra il trattamento economico a cui si può ambire presso le Procure delle diverse aree d’Italia. Non è evidente da cosa dipenda questa diversità; certamente, vi sono professionisti disposti a “svendere” il proprio lavoro pur di ricevere incarichi. Dovrebbe essere superfluo ricordare che un tale comportamento, che turba profondamente il mercato, si configura come uno dei modelli economici di commercio del passato dei quali gli economisti hanno riconosciuto pienamente la pericolosità e il fallimento, poiché ha sempre solo condotto ad una spirale al ribasso, senza vantaggio di nessuno, né dei prestatori d’opera né dei committenti, che ricevevano lavori di qualità sempre più scadente.

Sono molte le ragioni che, attualmente, non permettono di allineare l’attività svolta per il PM a quella offerta ai clienti privati; certamente, al di là delle singole motivazioni di merito, è incontestabile che sul tema nemmeno i diretti interessati abbiano le idee chiare e tantomeno pareri uniformi. Certamente è un tema molto complesso, che richiama in campo il mondo dei trasporti nella sua interezza, compresi i Grandi Poteri che lo governano.  Si tratta di un tema politico economico che non può essere seriamente affrontato se non promuovendo il confronto delle diverse parti intorno ad esso.    Tuttavia, come sempre, la prima difesa del valore della nostra professione non può che partire dalla capacità di raggiungere una sempre maggiore competenza e la capacità di esprimerla con i nostri committenti, per metterla a profitto.

Detto ciò, inevitabile è il sentito invito ai Ricostruttori più esperti a prestare continuativamente le proprie competenze alle Procure: un’attività così importante, con un impatto così pesante sulla vita delle persone che, a qualsiasi titolo, sono state coinvolte in un incidente stradale grave, non può e non deve essere lasciato a coloro che iniziano la professione! È il nostro senso etico che deve risvegliare in noi il senso di responsabilità sociale. Per una parcella più adeguata al tempo dedicato alla propria formazione, al continuo aggiornamento professionale, all’impiego di strumenti tecnici più efficaci ma più costosi si può e si deve parlare e discutere anche con i Magistrati che assegnano gli incarichi.

 

 

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